I giorni dello scudetto, la rivalità con la juve

Quasi un derby

Giallorossi e bianconeri protagonistri da alcune stagioni. Nel 1982-83 lo scontro finale. La squadra di Platini insidia il primato della Roma di Falcao, la batte due volte, sembra poter raggiungerla. Ma poi deve arrendersi ai nuovi campioni

Un aspetto singolare del vittorioso campionato della Roma fu rappresentato dagli esiti delle sfide con la Juve. La Roma tolse finalmente lo scudetto alla grande rivale permettendole però di levarsi uno sfizio di grande valore morale, che in parte guastò la festa giallorossa. Tre sole partite perse la Roma e due furono proprio gli scontri diretti con i bianconeri; l'altra, contro la Samp alla terza giornata. L'infelice scontro con la Juve nel girone di ritorno rappresentò il momento topico di tutto il campionato. Era il 6 marzo, 22° giornata: la Roma comandava la classifica da sempre, e aveva cinque punti di vantaggio sulla Juve, terza dietro il Verona. Era la gara di Falcao: perchè ne aveva fatto una sfida personale da quella volta di Turone e perchè la Roma aveva già perso nel girone di andata. Aveva segnato subito Chierico, facendo immaginare chissà quali sfracelli giallorossi, poi la Juve aveva pareggiato con Platini e infine vinto con Scirea. C'era stata molta animosità, ormai gli scontri tra Juve e Roma avevano i convulsi contenuti di una resa dei conti; tra gli ammoniti figuravano Furino e Vierchowod, e questo rientrava nella norma, ma anche Bruno Conti, e questa era una presenza del tutto anomala.
Grande vendetta aveva giurato la Roma nel ritorno: e tutto fu invece replicato per copia conforme. Segnò la Roma, con Falcao che dava la scossa a chi entrava in contatto, tanto era carico, e che giocò una delle sue più belle partite; pareggiò la Juve con il solito Platini. Venne dalla difesa, come nell'andata quando apparve Scirea, il vendicatore bianconero. Stavolta era il monumentale Brio, che a pochi minuti dal termine risolse di testa una confusa azione. Era come bere un vigoroso vino andato a male: sapori asprigni assunse improvvisamente il campionato della Roma, con la Juve che si era avvicinata a tre punti e con una difficile trasferta immediata a Pisa, dove già mugghiava l'orso Anconetani.
E fu una pasqua invece, in un'aria da scampagnata. La composta solennità di Di Bartolomei e Ancelotti, la presenza signoreggiante di Falcao, intimidirono i pisani invano sollecitati da Luis Vinicio, che aveva millanto motivi di rivincita. Sugli spalti infuocati scese pian piano un silenzio attonito, quando tutto sembra fermarsi. Il fischio agitato di Rosario Lo Bello non trillava più, sembrava modulare suoni festosi. Tutta la curiale manovra di gioco romanista, composta e ripensata, che Nils Liedholm aveva pazientemente elaborato, quel giorno raggiunse la perfezione. Dopo dodici minuti segnò Falcao, e tutto di acquietò. Più tardi fu la volta di Di Bartolomei ad andare in gol, il Pisa reagì reagì con Berggreen, ma tutto finì li: il Pisa non aveva mai avuto la possibilità di crederci. Così nessuno si accorse che in campo non c'era Pruzzo, l'arcangelo dell'area di rigore. Era stato messo fuori uso da Michel Platini, pensate un pò, nell' infausta sfida di sette giorni prima. Lo aveva sostituito Iorio, poi rilevato da Faccini. I campionati si vincono domenica dopo domenica, punto dopo punto: ma la Roma lo vinse quel giorno.

Coppe ancora amare

Quel giorno a Pisa la Roma vinse virtualmente lo scudetto, che sarebbe stato ufficialmente conquistato, come abbiamo visto, in un impazzito maggio genovese. Ma quel giorno a Pisa perse la coppa Uefa, e pazienza. Largamente incompleta e spiritualmente appagata, il mattino seguente la Roma partì per Lisbona, per affrontare il Benfica nei quarti di finale. Bisognava vincere, perchè il Benfica si era stranamente imposto all'Olimpico: quante polemiche quel giorno, e che sbandata: fu un altro momento delicato del campionato, di quelli che possono mandare tutto all'aria. La stranezza stava nei molti errori commessi e nei due gol subì ti: autorete di Vierchowod prima, autorete di Ancelotti dopo. Sembrava uno scherzo. A Lisbona la Roma giocò una eccellente partita, piena di dignità, ma si fermò sul pareggio: 1-1, gol di Falcao. Il brutto venne in Coppa Italia. Chi non lo sa, mai riuscirebbe ad immaginare quali agguati vendicatori la Juventus seppe preparare. Le due ormai eterne rivali, padrone di quegli anni '80, si ritrovarono di fronte subito dopo la conclusione del campionato. Quarti di finale: e la Juve, che già aveva battuto due volte la Roma in campionato, stavolta le rifilò prima un 3-0 a Torino, poi un mortificante 2-0 a Roma. Otto punti su otto, si era presa la Juve. La Roma ci rimase male, ma lo scudetto non le andò di traverso.

Tratto da La mia Roma del Corriere dello Sport

 

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